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Negli ultimi anni ci sono stati un sacco di cambiamenti nella vita mia e di Giovanni. Le dinamiche della nostra famiglia sono molto cambiate dopo la separazione e i miei sforzi si sono sempre più concentrati sul cercare di non far sentire a mio figlio le difficoltà della nostra nuova situazione.

Sono una persona che razionalizza molto e pensa a lungo a tutti i pro e i contro quando deve prendere una decisione. Anche la più banale, figuriamoci questa… Quando abbiamo deciso di sposarci prima e di avere un bambino, poi, ho sempre pensato fosse per sempre. Mai avrei creduto e soprattutto voluto che le cose andassero come poi sono andate. E ho lottato  perché la mia famiglia potesse farcela e resistere al grosso scossone che aveva subito.

Mi sono chiesta mille volte quale fosse la scelta “giusta” da fare: restare perché dicevano fosse la cosa migliore per il bambino? O andare perché al bambino volevo insegnare cosa fosse il rispetto (per me stessa e per le persone che si dice di amare). Ho deciso di andare, perché sono certa che, per quanto duro all’inizio, sul lungo termine sarà la decisione migliore per tutta la nostra famiglia. Soprattutto per Giovanni.

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Ma anche quando la decisione è stata presa, per molto tempo ho sempre sentito che più che un punto avessimo messo dei puntini di sospensione. Un evento è stata poi la chiave di volta, il primo passo per cominciare a metabolizzare la decisione: la prima udienza in tribunale. Non dico che sia stata una svolta epocale, ma da quel momento in poi ho cominciato a mettere a fuoco che c’era un prima e che cominciava un dopo.

La separazione mi ha reso estremamente protettiva e in un certo senso possessiva nei confronti di Giovanni. Quando non è con me, differentemente da quanto spesso si sia portati a pensare, guadando la relazione dall’esterno, non è tutta una festa: se Giovanni è col papà io non smetto di pensare a lui nemmeno per un secondo, non smetto di preoccuparmi (anzi, forse mi preoccupo anche di più), piango la notte perché non ce l’ho accanto a me. E sì, magari esco a bermi una cosa con le amiche, ma la mia testa spesso è altrove. Non è una pausa, non è un vacanza: faccio solo cose che magari con lui non riesco a fare. E faccio fatica quando amiche e mi dicono che la mia situazione non è molto diversa dalla loro, perché hanno dei mariti o compagni che lavorano molto e magari sono fuori città per lavoro. Perché non è la stessa cosa: a me manca quel supporto morale, emotivo ed intellettuale che un compagno, per quanto lontano sia, dà. La loro famiglia è intatta e loro sanno che c’è qualcuno che le ama e a cui mancano. E che tornerà a casa e sarà lì ad aiutarle.

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Foto Martina Manelli 

La cosa buffa di questa situazione è che ad un certo punto ho cominciato a guardarmi intorno alla “ricerca” di persone nella mia stessa situazione, con curiosità e con desiderio di “imparare”. Ogni situazione è a sé, non ci sono ricette da seguire o regole auree che valgano per tutti.

Se si ha la fortuna di condividere valori e punti di vista sulla vita con l’altro genitore il lavoro è più facile. Ma quando non è così, quando il rapporto si è chiuso in modo burrascoso, quando le recriminazioni sono state tante non è per niente facile.

Non sono una psicologa, non posso e non voglio insegnare niente a nessuno. Ma posso portare il mio punto di vista, condividere quelle piccole strategie che mi fanno prendere ossigeno quando mi sembra che tutto il peso del mondo sia sulle mie spalle.

Dare l’esempio. Mostrare ai propri bimbi quello che si è, quello in cui si crede coi fatti e non con le parole. Una cosa non è giusta perché io dico che lo sia, ma gli mostro con le azioni la ragione per cui credo che lo sia. La diversità di opinione non deve diventare sempre un conflitto.

Pensare che mio figlio è altro da me. E io devo aiutarlo a crescere il più possibile indipendente e insegnargli ad avere una sua opinione e non inculcargli la mia. Crescerà e avrà una scala di valori solo sua. Che sarà certo fondata sull’esempio intorno a lui, ma che non dipenderà solo da quello. Nessuno di noi è la fotocopia dei suoi genitori.

Ricordargli che è amato. Giovanni sente la tensione che c’è tra me e suo padre. Ma questa tensione non deve avere un impatto su di lui. Deve sapere che al di là di tutto, la sua mamma e il suo papà ci saranno sempre per lui. Si prenderanno cura di lui e del suo benessere.

Purtroppo non ho ricette per avere un buon rapporto con il vostro ex marito. Secondo me lì ci vuole un pizzico di fortuna. Ma non deve mancare l’impegno a superare le diversità di opinione, a prendere le decisioni con in mente solo il bene del bambino e non la volontà di ripicca e vendetta nei confronti dell’ex. Ci deve essere lo sforzo a non litigare davanti ai bimbi, a rispettare i provvedimenti presi per dare coerenza alla vita del bambino, ma allo sesso tempo flessibilità per non privarlo di occasioni e della possibilità di fare cose che gli piacciono.

È una strada lunga tutta la vita, per quello la cosa più intelligente e sana da fare è quella di percorrerla con in mente il rispetto, per se stessi e per il proprio figlio, la ricerca della serenità e tanta tanta elasticità mentale.

Personalmente, il mio obiettivo è quello di cercare un equilibrio per la mia “nuova” famiglia. Un equilibrio che sarà inevitabilmente in continuo divenire, e che passa attraverso l’impegno quotidiano perché Giovanni si senta amato, rispettato e importante, che consisterà in abbracci stretti stretti tutti i giorni, finché me lo concederà, in “ti voglio bene” sussurrati più volte, nell’ascolto e nel rispetto di lui come altro da me.

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