Una delle tante conseguenze della pandemia da Coronavirus è stata l’impennata del telelavoro e dello smart-working.

Ovvero, per tutti quei lavori che si possono svolgere da remoto con un pc e una connessione a internet è stata fortemente incentivata la modalità “da casa” rispetto al recarsi in ufficio.

E anche adesso che i dati sul contagio sono molto più incoraggianti e che tanti uffici hanno riaperto, la modalità smart-working è ancora molto utilizzata e sono in tanti a pensare che si tratti di una “rivoluzione” che avrà effetti permanenti che dureranno anche quando la situazione sanitaria si sarà completamente normalizzata.

C’è chi lo ama e chi invece lo considera una grossa fregatura. Questione di gusti, di attitudini, ma anche di organizzazione di vita che ciascuno di noi ha.

Una caratteristica dello smart-working è che si può lavorare praticamente ovunque, non solo dalla propria abitazione; proprio per questo, con l’arrivo della bella stagione e l’allentamento delle misure anti-contagio c’è chi ha provato l’esperienza di lavorare da un luogo di villeggiatura.

Magari una seconda casa, per chi ha la fortuna di averla, o affittando un appartamento, una soluzione in residence o un bungalow.

Lavorare in un posto fresco, lontano dall’afa della città, magari anche con una bella vista o un giardino per godere della natura e di aria buona.

Se poi si hanno dei bambini può essere la soluzione ideale per conciliare le loro vacanze con il nostro lavoro.

Ma è davvero tutto così perfetto?

Vi racconto la mia esperienza.

Per (quasi) tutto il mese di luglio ho lavorato usando come “base” una casa in montagna. Avevo un bel tavolo con vista sull’arco alpino, la finestra sempre aperta, una scorta di tè e cioccolato come “pausa caffè” e due figli tutto sommato grandicelli e gestibili con cui convivo lavorando da quando hanno chiuso le scuole.

Lavorare dalla montagna ha avuto un risvolto positivo e uno negativo: cominciamo da quest’ultimo. Personalmente ho avuto più difficoltà a concentrarmi e a entrare in modalità “lavoro”.

In un certo senso mi sembrava innaturale dover lavorare in un contesto che il mio cervello percepiva come vacanziero e quindi è stato un po’ più difficile del solito trovare la giusta motivazione e forza di volontà.

L’aspetto positivo è che tutto il tempo libero, una volta terminato l’orario di lavoro, ho potuto “godermelo” all’aria aperta, facendo brevi passeggiate nella natura o girovagando tra le bancarelle dei coltivatori locali alla ricerca di mirtilli freschi.

Anche in pausa pranzo, a volte, abbiamo approfittato del prato sotto casa per un veloce pic-nic a base di focaccia, frutta o toast.

Nel complesso lavorare dalla villeggiatura è stata un’esperienza positiva perché a conti fatti la sensazione che mi ha lasciato è stata quella di maggiore leggerezza rispetto al lavorare da casa. In un certo senso è come se avessi percepito questo mese di lavoro in montagna come una sorta di vacanza light.

Chissà se potremo ripetere l’esperienza anche il prossimo anno…

Voi avete avuto la possibilità di sperimentare questa modalità? Come vi siete trovati?

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